AIl racconto della mia esperienza a Cagliari di fronte ai ragazzi riuniti per il Salone dello Studente.
L’evento di Cagliari, al Salone dello Studente, stava per iniziare. Ho parlato innumerevoli volte di fronte a un pubblico più o meno o giovane, ma sapevo che questa volta sarebbe stato diverso.
Perché c’era un nemico da affrontare, più grande di me: un nemico oscuro, silenzioso e che si diffonde come un virus, sconosciuto e pericoloso. Lo avevo già affrontato più volte, anche in casa mia, anche con i miei amici e familiari e quindi lo temevo. Ma sapevo che avrei potuto sconfiggerlo solo con l’aiuto e il sostegno di quei meravigliosi adolescenti presenti.
Parlare alle giovani menti
Ci siamo, tocca a me. Domenico Ioppolo, padrone di casa che ringrazio, apre l’incontro, mi presenta scandendo il mio nome. Mi accingo cosi a comparire di fronte alla platea: tiepidi applausi, sorrisi, tanti volti giovanissimi, molta curiosità. Leggo nelle loro facce un pensiero: “Vediamo cosa ci racconta questo qui oggi”. Io sorrido a mia volta e ringrazio tutti. Sono emozionato, provo un po’ di timore ma poi parto, sereno. Miles Davis mi tiene compagnia. Racconto di vita, di coraggio, di passione e della volontà di liberare la propria anima con entusiasmo in un mondo frenetico che ci vuole cupi, stressati, tristi e privi di scopo.
Le parole scorrono e negli occhi dei ragazzi inizio a capire che questa per loro non è la solita lezione di scuola, ma un discorso inaspettato, strano. I minuti passano e inizio a realizzare dentro me stesso: “Accidenti stiamo sconfiggendo il mostro…ci stiamo riuscendo davvero!”. I ragazzi e le ragazze di Cagliari lo hanno lasciato nello zaino o nella tasca perché io stavo parlando alle loro giovani menti, ai loro cuori e (forse) loro erano più interessati a me che a lui.
Abbiamo sconfitto il “phubbing”
Ma chi o cos’è questa entità maligna che temevo (e temo) e che tutti noi dobbiamo affrontare? Sto parlando del phubbing: l’arte di ignorare e trascurare il proprio interlocutore (in un qualsiasi contesto sociale), concentrando la propria attenzione sullo smartphone e la propria vita digitale. Il termine phubbing nasce dalla fusione di “phone” (telefono cellulare) e “snubbing” (snobbare).
Questo modo di fare, in ogni situazione della nostra vita, ha conseguenze disastrose nella comunicazione e nella relazione tra le persone. Immagina per un attimo. Sei a cena con amici e mentre parli di un argomento che ti
sta a cuore noti il tuo vicino chattare su Whatsapp. Come ti sentiresti? È frustrante, poco educato e rispettoso, ma è l’amara e cruda realtà dei giorni nostri!
A supporto di questa circostanza c’è la ricerca effettuata da alcuni psicologi dell’Università del Kent. Sono stati intervistati 153 studenti universitari, dovevano osservare un dialogo di tre minuti tra due persone e identificarsi con uno dei due soggetti. E ogni studente, durante il test, avrebbe vissuto una di queste tre condizioni:
– Dialogo con nessun phubbing
– Dialogo con phubbing leggero
– Dialogo con phubbing massiccio.
Quali sono stati i risultati?
Tutti i ragazzi che si sono trovati di fronte a un phubbing leggero o massiccio erano frustrati e innervositi dal tipo di relazione che si era creata. Ma a Cagliari è stato diverso.
Ho i brividi se ripenso a quella straordinaria esperienza di conoscenza e di condivisione, mi sono concentrato sull’immagine della sala piena e i sorrisi di ragazzi e ragazze. Mi hanno entusiasmato i loro applausi, il loro sguardo, la loro leggerezza, la loro apparente sicurezza. Mi sono sentito uno di loro anche quando sembravano dirmi:
“Giustiniano vediamo perché il tuo punto di vista non è così lontano dal nostro, ma forse un pizzico più consapevole…”
I giovani uomini e le giovani donne comunicano lasciandosi trasportare dalle loro emozioni perché stanno cambiando.
Non sono più bambini e le loro identità iniziano a formarsi in base alle esperienze di vita quotidiane che vivono.
Per loro questo periodo è come la “Rivoluzione del ’68” perché vogliono l’indipendenza, odiano le regole e ogni forma di controllo (da parte di noi adulti). Cercano ispiratori non “genitori amici”, vogliono fiducia, vogliono essere ascoltati senza essere costantemente giudicati
E i grandi cosa devono fare?
Devono fare i grandi! I ragazzi e le ragazze (come quelli di Cagliari) devono essere sostenuti, ispirati, ascoltati, non solo giudicati. Solo in questo modo – trattandoli come pari – si fideranno di noi, ci affideranno un po’ alla volta il loro rispetto, si apriranno a noi e rispetteranno gli accordi presi. Devo ringraziare i ragazzi e le ragazze di tutta Italia perché se abbiamo veramente il coraggio e la pazienza di ascoltarli, possiamo imparare tanto dai loro gesti, dai loro apparenti silenzi e solo cosi potremmo essere per loro il “capitano mio capitano”.