Il coraggio di essere umani, ora.
Viviamo in un tempo in cui tutto è calcolato: ogni parola, ogni gesto, ogni reazione. Un tempo in cui mostrarsi autentici è spesso percepito come una debolezza. Dove il “buongiorno” in ascensore crea più disagio che connessione. E dove sorridere senza un motivo è guardato con sospetto.
Ma allora… che fine ha fatto la nostra umanità?
In un mondo iperconnesso e frettolosamente performativo, abbiamo perso il senso del contatto vero. Non quello che si misura in like o follower, ma quello che si misura in empatia, presenza, ascolto.
Ci siamo convinti che vivere significhi funzionare. Essere efficienti, produttivi, impeccabili. Eppure, quante persone conosciamo che hanno successo… ma non hanno pace?
Il valore di ciò che non si misura
Ci hanno insegnato a valutare una giornata in base a quanto siamo stati felici. Ma se invece la misurassimo in base a quanta felicità abbiamo generato negli altri? Una domanda scomoda, forse. Ma urgente.
Perché alla fine, non ci verrà chiesto quanti obiettivi abbiamo raggiunto. Ma quanto ci siamo permessi di essere pienamente noi stessi. E se quella versione di noi, vera, imperfetta, vulnerabile… abbia mai avuto il coraggio di venire alla luce.
La libertà che nasce dal rischio
Esporsi è rischioso. Dire “ciao” a uno sconosciuto è rischioso. Fare un complimento sincero è rischioso. Mostrare i propri sentimenti è rischioso.
Ma vivere senza rischiare nulla significa rinunciare alla parte più viva di noi. Significa evitare il dolore, certo. Ma anche la gioia. La crescita. L’amore. Significa smettere di vivere.
La forza della presenza
Chi di noi ascolta davvero, oggi? Quante volte abbiamo la risposta pronta prima ancora che l’altro abbia finito di parlare? Guardiamo, ma non vediamo. Parliamo, ma non ci connettiamo. Toccare, poi, è diventato quasi un atto rivoluzionario.
Eppure, è nel gesto più semplice – un sorriso, uno sguardo sincero, una parola vera – che si nasconde il potere di cambiare una giornata. Di creare un ponte. Di ricordare all’altro che esiste.
Vivere è una scelta
Non possiamo controllare tutto. Ma possiamo scegliere:
Se essere muri… o finestre.
Se rispondere col silenzio… o con un sorriso. Se vivere nella routine… o nella sorpresa.
Possiamo scegliere di essere vivi ora, non quando sarà tutto perfetto. Non quando avremo tempo. Non domani.
Perché il tempo per amare è adesso. Il tempo per agire è adesso. Il tempo per essere pienamente umani è adesso.
Lavoro, relazioni, leadership: qualcosa si sta muovendo
Tutto questo ha implicazioni profondissime anche per chi guida persone.
Manager, team leader, imprenditori: non basta più “ottenere risultati”.
Serve creare contesti dove le persone possano fiorire, essere ascoltate, essere se stesse.
Le nuove generazioni lo hanno capito bene.
Non accettano più ambienti di lavoro disumanizzanti, vuoti di senso o incapaci di valorizzare l’individuo.
Cercano autenticità, scopo, relazioni vere. E quando non li trovano, si disconnettono.
Come il fenomeno del quiet quitting dimostra, siamo di fronte a un cambio di paradigma:
le persone non si ribellano urlando, ma smettono semplicemente di dare più di quanto ricevono. Non è disimpegno, è una reazione lucida a modelli che non funzionano più. È un invito a ripensare radicalmente il modo in cui costruiamo e viviamo le organizzazioni.
Serve recuperare quella sana “inquietudine” che ci permette di sorridere senza motivo, di cambiare strada ogni tanto, di dire parole che non servono a concludere, ma a connettere.
Perché il tempo per vivere, amare e cambiare non è domani: è adesso
Fonti :
- Leo Buscaglia –Vivere, amare, capirsi: link al libro
- Eric Fromm, L’arte di amare: link al libro
- Daniel Goleman, Intelligenza emotiva: link al libro
- Giustiniano La Vecchia, Il Faro delle Anime: link su Amazon
- Giustiniano La Vecchia, Passaporto per la Felicità: link su Amazon
- Sul fenomeno del quiet quitting: Harvard Business Review articolo di riferimento
- Sul cambio di paradigma tra le nuove generazioni: McKinsey & Company Generational Change
Photo by: Bernard Hermant








