Molto spesso si parla dei giovani (le nuove generazioni), apostrofandoli come degli inetti, sdraiati, non interessati a ciò che li circonda, pigri, senza desideri e ambizioni. Ma è davvero così?
Come mai una generazione, nata in un epoca sempre più tecnologica, ha così tante difficoltà a dialogare con gli adulti, a trovare la strada del proprio futuro?
Sarà che non gli ascoltiamo? Sarà che li consideriamo scontati? Sarà che noi adulti (genitori, docenti, allenatori, manager etc etc) non siamo più allenati ad essere delle vere proprie guide, punti di riferimento, ispiratori o ispiratrici?
La verità è che se decidiamo di intraprendere un viaggio, non basterà essere riforniti dei migliori equipaggiamenti possibili. La bussola più costosa in commercio e la tenda più resistente non serviranno a nulla se non abbiamo la minima idea di come usarli.
Tra lo strumento e l’utilizzo sapiente dello stesso c’è un passaggio fondamentale: il ruolo della guida, di chi prendendoci per mano ci insegna l’utilizzo degli strumenti.
Questa figura è in grado non solo di indicarci una via, ma anche di spiegarci per quale motivo la stiamo percorrendo e quali sono i pericoli che affronteremo.
Una guida che ci spiega che la vera felicità sta nel viaggio, nel nostro viaggio e non quello di altri, dove scopriamo significati importanti come coraggio, desiderio ,istinto ma sopratutto liberiamo il nostro entusiasmo.
E qui tocchiamo un altro punto a mio avviso fondamentale: la conoscenza del pericolo e i metodi per affrontarlo.
Al giorno d’oggi si è persa l’arte della conoscenza del pericolo ma la tendenza è sempre di più quella di evitarlo. L’ostacolo è percepito come uno spauracchio da rifuggire con qualsiasi mezzo e non come un momento di crescita.
Pensiamo a un bambino che si ammala.
Uno scenario impraticabile per i genitori, che devono impazzire per trovare qualcuno che resti a casa con lui e per il bambino stesso che perde giorni di scuola, lezioni di flauto traverso, partite di calcio e corsi di pittura .
Il tutto si risolve con una massiccia dose di, inutili in molti casi, “medicine” per velocizzare il processo di guarigione e si perde ad esempio la bellezza di passare del tempo seduti in poltrona accanto a nostro figlio, raccontandogli una favola, conversando, giocando una partita a battaglia navale, conversando del più e del meno o più semplicemente facendogli sentire la nostra “presenza” ascoltandoli.
Ogni momento che non resta religiosamente scandito dalla nostra routine viene percepito come inutile, perso, ma così facendo siamo arrivati al punto che tutto quello che richiede un lasso di tempo maggiore della consegna delle pizze non viene più esplorato.
Ma il concetto di tempo ci insegna qualcosa di estremamente fondamentale: che non possiamo fare tutto.
Quindi dovremo scegliere le cose più importanti, le priorità, e dovremo dedicargli l’impegno necessario, sacrificando qualcos’altro al suo posto, in questo modo acquisterà valore.
Il sacrificio è esattamente il punto in cui vi volevo portare con la mia riflessione. Un’altra parola che viene vissuta dai più come qualcosa di osceno.
Sacrificarsi? E per quale ragione dovremmo consapevolmente decidere di privarci di qualcosa?
Perché quando si perde il senso negativo di questa parola, ci si rende conto che levare da una parte per aggiungerne da un’altra la eleva, la rende inestimabile.
Perché ci abbiamo investito e vogliamo che funzioni a dovere e siamo quindi disposti a continuare ad impegnarci, per vederla progredire.
Ripercorrendo il ragionamento che abbiamo fatto è chiaro che il ruolo del genitore sia quello della guida, che ci mostra come arrivare a un obiettivo, coniugando ciò che decidiamo faticosamente di imparare, insieme agli strumenti che riusciamo a reperire.
Il tempo passa e non possiamo recuperarlo ma una cosa possiamo fare: VIVERLO con chi davvero amiamo.
Namastè